Complimenti a Debora Serrachiani, di seguito l'intervista che ha rilasciato oggi al quotidiano l'Unità.
«È un’esigenza avvertita dalla società, anche il premier Mario Monti
ha parlato di generazione perduta. E penso che proprio in un momento
così difficile e complicato sia necessario mettere alla prova tutte le
generazioni, in particolare quelle nuove, a cui non è mai stata data
sufficiente responsabilità politica». Debora Serracchiani,
europarlamentare e candidata alla presidenza del Friuli Venezia Giulia,
non ha dubbi: è tempo che le nuove generazioni si cimentino con
incarichi di governo. E che la “vecchia” classe dirigente accetti il
ricambio, facendo “spazio ai giovani”.
Così ne fa una questione anagrafica?
«No, non è una questione di carta d’identità, ma serve andare oltre
quell’unico “titolo di studio”, finora riconosciuto in Italia, dell’età e
dell’esperienza. All’estero ci sono giovani che hanno grandi
responsabilità: il primo ministro danese ha 44 anni, ed è una donna, il
ministro delle finanze non ha neppure 30 anni…».
I “giovani” politici italiani sono meno intraprendenti, meno preparati o che altro?
«Sicuramente ci vogliono generazioni anche più coraggiose, disposte a
puntare su competenze, capacità, a mettersi in gioco senza cercare
raccomandazioni e contare su conoscenze. Ma ci sono molti giovani
amministratori estremamente preparati».
La competenza però non è una prerogativa giovanile e l’esperienza a qualcosa serve, non crede?
«Sì, ma se ci candidiamo a governare l’Italia in un contesto
totalmente cambiato, con una società rivoluzionata, non possiamo
affidarci al passato. Chi già ha dato al Paese può comunque mettersi a
disposizione del partito e della politica a prescindere da un ruolo
istituzionale»
Ci sono persone di grande competenza, tra la “vecchia” classe dirigente,
fondamentali nella costruzione del partito, e di una politica forte che
guardi all’Europa,ma nessuno è indispensabile».
Perciò vorrebbe tutte facce nuove nei prossimi incarichi di governo?
«L’idea è non nominare ministri già incaricati nei precedenti
governi. Non perché non siano capaci o non godano di stima, ma perché
c’è la necessità forte di investire in gruppi dirigenti diversi. Mi
auguro che Bersani faccia scelte forti al riguardo. Lo dico in
particolare per quel che riguarda il centrosinistra, perché per troppo
tempo ha preferito cambiare il nome dei partiti ma lasciare
la medesima classe dirigente, anche quando veniva sconfitta».
Pensa a delle regole da adottare nel partito e nel Paese?
«Se riconquistiamo la normalità anche in politica va da sé che dopo
un periodo di servizio si torni a fare quello che si faceva o si torni a
casa. Però se non siamo maturi per questo slancio culturale
allora ben vengano le regole».
Quali, ad esempio?
«Una è il limite dei mandati parlamentari da applicare fino in fondo,
senza deroghe. Noi chiediamo ai sindaci di farsi da parte dopo due
mandati, perché non chiederlo ai consigli regionali o al Parlamento. Tra
l’altro i territori sono un buon modello di riferimento, lì abbiamo
dimostrato di avere una classe dirigente all’altezza e questo accade
perché c’è maggiore contendibilità degli
spazi politici; si fanno le primarie per i sindaci, per i presidenti di
Provincia, e si sceglie superando vecchi schemi. A livello centrale
invece con questa legge elettorale si è ulteriormente annullata
ogni contendibilità di spazi».
Certi limiti temporali potrebbero limitare l’attuazione di riforme e politiche di medio e lungo termine?
«Non direi, cambiare il politico con una certa frequenza impedisce ai
centri di potere di avere riferimenti certi e continuativi. Piuttosto
proprio il cambiamento e la discontinuità degli incarichi
possono garantire risultati a lungo termine. Se chi ha governato ha
interesse a completare l’opera cominciata, avrà anche l’interesse a
formare la classe dirigente che viene dopo cercando, a quel punto, di
farla vincere e governare allo stesso modo».
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